Cacatores: degrado, malocchio e poesia a Pompei
Pompei, Regio III, Via dell’Abbondanza. Uno stretto vicolo divide l’insula 4 (III.4) dall’insula 5 (III.5.1), sui muri tre giganteschi graffiti riscoperti nella prima metà del Novecento e oggi non più visibili. Tre avvertimenti ai cacatores.
Veduta dall’alto della parte nord-orientale dell’insula III, 4 Sul muro CIL VI, 7714 Foto che ritrae l’angolo sud-ovest dell’insula III, 5, 1. Evidenziato EAS dell’iscrizione.
CACATOR CAVE MALUM / AUT SI CONTEMPSERIS HABEAS / IOVE IRATUM
CACATOR, ATTENTO A TE CHE CACHI, O SE TU OSI IGNORARE TALE AVVISO TI POSSA RICADERE L’IRA DI GIOVE
CIL IV, 7716; GraffPomp 00236 – Traduzione personale
I cacatores erano coloro che defecavano negli angoli meno frequentati della città come i vicoletti stretti; alcuni di questi, incuranti dell’ira degli dei e irrispettosi verso la maestà della Repubblica, defecavano dietro le statue degli dei e dei magistrati, sulle tombe dei defunti o addirittura nei recinti sacri dei templi1Aristofane, Vespe, 393-394; Tertulliano, Sugli spettacoli, 21. “Cacator cave malum“, questa piccola frase era tanto un insulto minaccioso quanto una fascinatio, un malocchio, scagliato contro i cacatores2Sulla fascinatio. Plinio il Vecchio, Storia della natura, XXVIII, 27, 101; Aulo Gellio, Le notti … Continue reading.
I cittadini esasperati si difendevano scrivendo questo graffito per invocare la vendetta degli dei3CIL III, 01966; AE 1949, 48; altri consacravano il luogo dipingendoci sopra due serpenti, gli agathosdaimones, spiriti protettori simili ai Lari4CIL IV, 06641; VI, 29848b. Il poeta Persio accenna a questa consuetudine di dipingere i serpenti5Persio, Satire, I, 113-114 e lo scoliaste del sesto secolo approfondisce tutto ciò: i tavernieri dipingevano i serpenti per inibire quei bambini che urinavano negli angoletti più nascosti della taverna6Scoli alle Satire di Persio, I, 113-114.




Questo dipinto parietale è stato ritrovato in un larario posto lungo le mura che conducevano alle latrine nell’insula IX, 7, 21; ed è attualmente conservato al Museo Archeologico di Napoli7Sul dipinto e sulle diverse interpretazioni: Fulvio de Salvia, Su una interpretatio pompeiana del … Continue reading. Il dipinto è una testimonianza del culto isiaco a Pompei: la donna è una sincretistica Iside – Tyche – Demetra, mentre il bambino Horus – Arpocrate, bambino circondato da serpenti non minacciosi, perché divinità legata al dominio sul mondo animale. Particolarità di questo dipinto è quel “Cacator Cave Malum” nell’angolo superiore a sinistra: potrebbe essere uno sfottò degli abitanti di Pompei ai seguaci del culto isiaco; oppure potrebbe essere l’opera di qualche frequentatore della vicina latrina ignorante della figura di Arpocrate, il quale ha confuso il piccolo dio con il classico piccolo cacator pronto a defecare in giro e fermato in tempo dai serpenti protettori e dalla dea; o addirittura la testimonianza dell’utilizzo del larario da non appartenenti al culto isiaco, i quali preoccupati dalla vicina latrina scrissero la formula non come fascinatio, ma come fascinus, rimedio contro il malocchio per scacciare demoni e sfortuna attirati dai prodotti della vicina latrina8Su feci, urina, ma anche flatulenze come rimedio contro il malocchio e incantesimi maligni: Orazio, … Continue reading.
Ai serpenti dipinti e alle maledizioni c’era chi preferiva minacciare i cacatores con la promessa di botte o di peggio: a Pompei, a poca distanza dal vicoletto terra di defecazione c’è un edificio (III.5.4) una probabile taverna o panetteria. Sull’entrata un altro graffito, il quale non è stato scritto con lo stilo, ma con calamo e atramento.




HOSPES ADHUC TUMULI NI MEIAS OSSA PREC[ANTUR]
NAM SI VIS (H)UIC GRATIOR ESSE CACA
URTICAE MONUMENTA VIDES DISCEDE CACATOR
NON EST HIC TUTUM CULU(M) APERIRE TIBISTRANIERO, LE OSSA DEL TUMULO TI PREGANO DI NON PISCIARE SIN QUI: INFATTI SE VUOI ESSERE AD ESSO PIÙ GRATO, CACA. VEDI, HA UN MONUMENTO DI ORTICA: ALLONTANATI O TU CHE TI APPRESTI A CACARE. NON È SICURO APRIRE IL CULO QUI.
CIL IV, 8899; GraffPomp 00243 – Traduzione personale seguendo quella in “Graffiti Latini” a cura di Luca Canali e Guglielmo Cavallo edizione BUR
Alcuni editori hanno tradotto Urticae, in un semplice ortiche: avvertimento agli incauti cacatores della flora circostante. Altri editori hanno notato che in altre iscrizioni è presente il nome femminile Urtica9Roma, Aquino (FR), Assisi, Narbona, Leptis Magna. CIL VI, 22200; VI, 29562; X, 5536; XI, 5455; XII, … Continue reading quindi il tono del graffito sarebbe molto più temibile: Urtica, la probabile padrona della taverna, minaccia di sodomizzare violentemente i cacatores che avessero osato orinare o peggio defecare nei pressi della sua attività. Questo graffito riprende le diverse iscrizioni funerarie, dove lo stesso defunto chiede di non defecare sulla propria tomba, ma di bere alla sua salute10CIL VI, 2357.
«Non è chiaro perché faccia tanti versi: forse orinò sulle ceneri paterne, o rimosse la terra tetra sacra al fulmine?»
Orazio, Arte Poetica, III, 470-472. Traduzione di Enzo Mandruzzato da “Orazio – Le Lettere” edito da BUR
I cacatores e il loro defecare sulle tombe doveva essere un problema abbastanza sentito dagli abitanti dell’Impero: Orazio ironizza che forse l’essere poeta è la punizione divina a tutti coloro che hanno urinato su una tomba e in particolare su quella del proprio padre11Orazio, Arte Poetica, III, 470-472; Arcone, Commento all’Arte Poetica di Orazio, III, 471. Il Trimalcione di Petronio, questo liberto grasso, ricco e cafone confessa ai partecipanti del suo banchetto di aver messo un suo liberto a guardia della sua tomba così da scacciare via tutti i cacatores12Petronio, Satyricon, 71, 8.
Orinare su una statua di un liberto arricchito o peggio defecare sulla sua tomba doveva essere un’ottima valvola di sfogo per tutta quella nobiltà impoverita e danneggiata da quel poco di mobilità sociale presente a Roma, mobilità espressa non solo dall’ostentata ricchezza dei provinciali cafoni o peggio degli ex schiavi provenienti da chissà quale luogo sperduto come Trimalcione, ma ricordata quotidianamente anche dalle loro statue innalzate in giro. Una statua di Pallante, il liberto preferito dell’imperatore Claudio, era stata posta vicina a quella del grande Giulio Cesare13Plinio il Giovane, Epistole, VIII, 6, 13.
Giovenale descrisse il povero giovane nobile, poetastro dilettante ridotto a essere il cliente di un patrono ingrato, che sfoga le sue frustazioni orinando sulla statua dell’egiziano14Giovenale, Satire, I, 131-132. Lo scoliaste precisa che la statua commemora un principe arabo, un alleato di Roma15Scolii alle Satire di Giovenale, I, 130; commentatori moderni pensano che il maligno Giovenale accennasse indirettamente a un esattore delle tasse, tipico mestiere volgare da provinciali, o addirittura al cavaliere ebreo Tiberio Giulio Alessandro, provinciale che fece carriera proprio grazie all’imperatore Claudio. A proposito di Claudio, l’imperatore era famoso e deriso anche per aver emanato un edito nel quale legittimò i rutti e le flatulenze durante i banchetti16Petronio, 47, 3-6; Svetonio, Vite dei Cesari: Claudio, 32.
«Ma per quanto concerne Claudio, si dà ordine che tutti “con gioia e parole di buon augurio lo accompagnino fuori di casa.” E allora egli germogliò fuori l’anima e da quel momento cessò di avere un’apparenza di vita. […] Questa fu l’ultima sua espressione a essere udita fra gli uomini dopo che ebbe lasciato uscire un rumore piuttosto forte da quella parte con cui riusciva più facilmente a comunicare: “Povero me, credo di essermi smerdato tutto.” Se lo ha fatto non lo so; certo è che ha smerdato tutto quanto.»
Seneca, Apocolocyntosis, 4, 3-4. Traduzione da edizione BUR a cura di Rossana Mugellesi.
Statue non solo di provinciali e di liberti, i cacatores non rispettavano né gli imperatori e né gli dei. In uno dei suoi sfoghi di rabbia l’imperatore Caracalla ordinò di condannare a morte tutti coloro che avevano insozzato una sua statua17Elio Sparziano, Storia Augusta: Caracalla, 5. Un secolo e mezzo prima l’arcigno Tiberio commentò con un annoiato “le questioni degli dei sono giudicate dagli dei” a quei senatori, a quella massa di adulatori, che richiedevano l’incriminazione per lesa maestà e pene durissime a tutti coloro che avevano mancato di rispetto a una statua di Augusto18Tacito, Annali, I, 73. Tutto ciò secondo Tacito, interessato alla psiche del simulatore per eccellenza e a comprendere i meccanismi interni del Principato; un paio di decenni dopo Svetonio, interessato diversamente alla ricostruzione biografica dei dodici Cesari, racconterà il divieto imposto da Tiberio di portare medaglie o monete con inciso sopra il volto di Augusto nelle latrine pubbliche e nei bordelli19Svetonio, Vite dei Cesari: Tiberio, 58.
Pompei fu una delle più grandi città dell’Impero con ben cinque latrine pubbliche (foricae) di cui una di esse in costruzione; una città forse priva di un sistema fognario, ma dove tutte le principali domus avevano le loro latrine private e alcune di queste erano addirittura state costruite al primo piano degli edifici. Per i Pompeiani più abbienti non c’era il rischio di dover uscire di casa la notte per defecare, barcollare mezzi addormentati nel buio, entrare involontariamente nella proprietà del vicino e facendosi azzannare il sedere dal molosso di guardia20Teofrasto, I caratteri, 14, 6-7; oppure di passeggiare per la città di sera e di trovarsi insozzato da testa ai piedi, perché qualche schiavo ha avuto la geniale idea di svuotare il vaso di notte del proprio padrone21Giovenale, III, 276-277.
«Vacerra passa delle ore in tutti i cessi e sta seduto sul vaso l’intera giornata: Vacerra vuole mangiare non cacare!»
Marziale, Epigrammi, XI, 77. Traduzione tratta dall’edizione UTET degli Epigrammi a cura di Giuseppe Norcio.
La vita dell’utilizzatore della forica non era tutta rosa e fiori: è allegria defecare in compagnia, ma non quando il tuo compagno è un mediocre poeta che ti annoia con le sue poesie, anzi con la sua cacata carta secondo le parole di Catullo22Catullo, Carmi, 36, 1; Marziale, Epigrammi, XII, 61; peggio è quel conoscente in difficoltà economiche o addirittura il parassita di professione che si invita a pranzo, o inizia un lungo interrogatorio per sapere quale riccastro terrà stasera il suo sontuoso banchetto così da imboscarsi: un paio di adulazioni al padrone di casa, si recita a memoria qualche passo di Omero e di Euripide per poi riempirsi lo stomaco senza problemi23Marziale, XI, 77; la catastrofe sono i bambini e i ragazzetti che giocano a palla o peggio schizzano l’acqua del catino dove sono immerse i bastoni con le spugne per pulirsi.
Questi numerosi graffiti hanno spinto gli studiosi a interrogarsi sulla gestione delle latrine pubbliche. Abbiamo solo due iscrizioni di dedica di una forica, di cui una di queste è presente nell’Antologia Palatina e potrebbe essere un semplice esercizio letterario24CIL, XV, 07942. Giustamente l’evergeta generoso vuole essere ricordato per aver finanziato in parte la costruzione o addirittura donato ai suoi concittadini un teatro, una palestra o un tempio, ma non per aver donato il cesso pubblico. Un passo di Giovenale, il commento dello scoliaste e un passo del Digesto ci suggeriscono che forse le foricae erano opere pubbliche, un dovere (munus) noioso per i magistrati cittadini, per poi essere appaltate a privati (conductores foricarum), principalmente a quei provinciali e a quei liberti che non ritenevano indegno guadagnare in questo modo25Giovenale, III, 38; Scolii alle Satire di Giovenale, III, 38; Digesto, XXII, 1, 17, 5. Però tuttora è difficile comprendere il modo in cui guadagnavano gli appaltatori: la vendita di sterco e di urina era impossibile dato che la struttura delle foricae suggeriscono lo scolo dell’acqua continuo; e sì! Si vendeva l’urina come ottimo colorante per gli abiti (Nel famoso passo di Svetonio l’imperatore Vespasiano non tassò le latrine – foricae, ma gli orinatoi – dolia il quale contenuto era utilizzato dai tintori – fullones) e lo sterco umano come ottimo fertilizzante per i terreni più aridi26Varrone, Sull’agricoltura, I, 13, 4; I, 38, 2; Columella, Sull’agricoltura, X, 81-87; … Continue reading. La vendita degli accessori e in particolare delle famose spugne sul bastone, sembra un business poco redditizio. Tutto ciò ha portato gli studiosi a supporre che l’ingresso alle foricae non era gratuito: la consuetudine dei due euro a Roma e a Pompei per i bagni degli scavi è bimillenaria!
Bibliografia
- Matteo della Corte, Case e abitanti di Pompei, Roma, L’Erma di Bretschneider, 1954.
- Fulvio de Salvia, Su una interpretatio pompeiana del motivo di «Horo sui coccodrilli» in Rivista di Studi pompeiani, X, 1999, pp. 131-140.
- Titulorum pictorum Pompeianorum qui in CIL vol. 4. collecti sunt imagines recensuit, recognovit et contulit Antonio Varone; schedas ad imprimendum composuit, in ordinem topographicum adduxit et indices struxit Grete Stefani; Roma, L’Erma di Bretschneider, 2009.
- Eva Cantarella, Luciana Jacobelli; Pompei è viva, Milano, Feltrinelli, 2014.
- Ann Olga Koloski-Ostrow, The Archaeology of Sanitation in Roman Italy: Toilets, Sewers, and Water Systems; The University of North Carolina Press, 2015.
- Sarah E. Bond, Either Urine or You’re Out: Epigraphy and Graveyard Etiquette in sarahemilybond.com (consultato il 30/11)
- www.pompeiiinpictures.com
Note
↑1 | Aristofane, Vespe, 393-394; Tertulliano, Sugli spettacoli, 21 |
↑2 | Sulla fascinatio. Plinio il Vecchio, Storia della natura, XXVIII, 27, 101; Aulo Gellio, Le notti attiche, IX, 4, 8 |
↑3 | CIL III, 01966; AE 1949, 48 |
↑4 | CIL IV, 06641; VI, 29848b |
↑5 | Persio, Satire, I, 113-114 |
↑6 | Scoli alle Satire di Persio, I, 113-114 |
↑7 | Sul dipinto e sulle diverse interpretazioni: Fulvio de Salvia, Su una interpretatio pompeiana del motivo di «Horo sui coccodrilli» in Rivista di Studi pompeiani, X, 1999, pp. 131-140 |
↑8 | Su feci, urina, ma anche flatulenze come rimedio contro il malocchio e incantesimi maligni: Orazio, Satire, I, VIII, 46-50; Porfirio, Astinenza dagli animali, II, 42. Clemente Alessandrino testimonia la consuetudine di porre statue raffiguranti Tyche nei pressi o all’interno delle latrine: Clemente Alessandrino, Protrettico, IV, 5, 1 |
↑9 | Roma, Aquino (FR), Assisi, Narbona, Leptis Magna. CIL VI, 22200; VI, 29562; X, 5536; XI, 5455; XII, 4598; AE, 2003, 1922 |
↑10 | CIL VI, 2357 |
↑11 | Orazio, Arte Poetica, III, 470-472; Arcone, Commento all’Arte Poetica di Orazio, III, 471 |
↑12 | Petronio, Satyricon, 71, 8 |
↑13 | Plinio il Giovane, Epistole, VIII, 6, 13 |
↑14 | Giovenale, Satire, I, 131-132 |
↑15 | Scolii alle Satire di Giovenale, I, 130 |
↑16 | Petronio, 47, 3-6; Svetonio, Vite dei Cesari: Claudio, 32 |
↑17 | Elio Sparziano, Storia Augusta: Caracalla, 5 |
↑18 | Tacito, Annali, I, 73 |
↑19 | Svetonio, Vite dei Cesari: Tiberio, 58 |
↑20 | Teofrasto, I caratteri, 14, 6-7 |
↑21 | Giovenale, III, 276-277 |
↑22 | Catullo, Carmi, 36, 1; Marziale, Epigrammi, XII, 61 |
↑23 | Marziale, XI, 77 |
↑24 | CIL, XV, 07942 |
↑25 | Giovenale, III, 38; Scolii alle Satire di Giovenale, III, 38; Digesto, XXII, 1, 17, 5 |
↑26 | Varrone, Sull’agricoltura, I, 13, 4; I, 38, 2; Columella, Sull’agricoltura, X, 81-87; XI, 3, 12 |