Ovidio e il suo genetliaco
Ricavare interessanti notizie da quindici semplici versi nostalgici
Il venti marzo del 43 a.C. a Sulmona, antica città nella Valle Peligna in Abruzzo, una ricca famiglia equestre fu benedetta dalla nascita di un bambino. Circa sessantacinque anni dopo questo bambino morirà in un lontano villaggio sulle coste del Mar Nero, scacciato dalla corte dell’imperatore Augusto per colpa di un carme e di un errore che ha fatto1«Carmen et error» Ovidio, Tristezze, II, 1, 207, esiliato ai confini del mondo conosciuto in un luogo funestato delle scorrerie dei violenti Sarmati, dimenticato dall’imperatore Augusto e dal suo erede Tiberio.
Il nome di questo bambino e di questo esiliato è Publius Ovidius Naso o semplicemente Ovidio, uno dei più grandi poeti della letteratura latina. Noi conosciamo la precisa data di nascita di Ovidio, perché egli stesso ce lo rivela in un carme scritto durante i duri anni dell’esilio.
«Per conoscere l’autore che leggi, ascolta, mio futuro pubblico, chi sono stato, io, il disinvolto cantore dei teneri amori. La mia patria è Sulmona, ricchissima di fresche acque, distante novanta miglia da Roma. Qui io nacqui, e perché si sappia anche la data, era l’anno in cui entrambi i consoli perirono con uguale destino; ero di condizione equestre, ereditata, se la cosa ha un qualche peso, per antica discendenza, e non dovuta a un recente dono della sorte. Non ero il primogenito: nacqui dopo un anno che era venuto al mondo mio fratello, nel medesimo giorno, che fu per entrambi il genetliaco: un’unica ricorrenza veniva festeggiata con l’offerta di due focacce. È, dei cinque giorni consacrati a Minerva portatrice d’armi, quello che per primo si tinge dei sangue dei combattimenti.»
Ovidio, Tristezze, IV, 10, 1-14 – [Traduzione di Francesca Lechi per BUR]

Quadro del 1862 attualmente esposto al Metropolitan Museum of Art, New York City – [Tratta da wikimedia]
Ovidio, nato il 43 a.C.
In questi versi Ovidio afferma di essere nato nell’anno in cui i due consoli “perirono con uguale destino”: i due erano Aulo Irzio e Gaio Vibio Pansa, consoli nel 43 a.C. nell’anno successivo alla morte di Cesare (15/03/44). I mesi successivi all’assassinio di Cesare furono un periodo di incertezza e di confusione. I cesaricidi decisero di abbandonare temporaneamente Roma per i piccoli municipi del Lazio protetti dalle aristocrazie fedeli2Cicerone, Epistole ad Attico, XIV, 7; XIV, 12, perché divisi sull’atteggiamento da tenere verso i fedelissimi di Cesare e in particolare verso il console Marco Antonio, ma soprattutto timorosi di una reazione violenta della plebe3Sulle divisioni all’interno dei cesaricidi, il commento dello stesso Cicerone in una lettera … Continue reading. Marco Antonio preferì una tattica attendista e non denunciò immediatamente i cesaricidi consentendo a loro una deroga alla legge sulla presenza a Roma dei pretori4I pretori non dovevano assentarsi da Roma per più di dieci giorni. Antonio con un editto … Continue reading, ma iniziò a raccogliere con molta difficoltà attorno a sé tutti i fedeli di Cesare. In Senato una fazione nostalgica formata da diversi ex-pompeiani e da cesariani moderati guidata da un redivivo Cicerone attuò una politica conciliatoria, tanto garantendo l’immunità ai cesaricidi quanto confermando tutti i provvedimenti presi in precedenza da Cesare. Il giovane Ottaviano, erede universale di Cesare, arrivò a Roma e iniziò a raccogliere intorno a sé quei fedeli di Cesare scontenti delle scelte di Marco Antonio ottenendo anche la fiducia del Senato con quest’ultimo convinto di poterlo controllare. Questa fragile tregua tra quattro fazioni si ruppe verso la fine dell’anno, quando il console Marco Antonio riuscì in extremis a far approvare una legge dai comizi centuriati per modificare l’assegnazione delle provincie (lex de permutatione provinciarum): Marco Bruto e Cassio avrebbero governato Creta e la Cirenaica5Cicerone, Filippiche, XI, 12, 27-28, mentre lui la Gallia Cisalpina e la Gallia Comata controllando indirettamente quelle legioni (sei) stanziate nei Balcani attraverso l’assegnazione della Macedonia a suo fratello Gaio Antonio6Cicerone, Filippiche, II, 13, 31; III, 10, 26; Livio, Periochae, CXVII, Cassio Dione, Storia … Continue reading. Marco Bruto e Cassio, preoccupati dall’influenza del giovane Ottaviano in Grecia e del pericolo che diverse legioni cadessero in mano a Gaio Antonio decisero di “occupare” rispettivamente la Macedonia (assegnata a Quinto Ortensio) e la Siria (assegnata allo sconosciuto Lucio Staio Murco). Marco Bruto sconfisse un Gaio Antonio assediato ad Apollonia e abbandonato dai suoi stessi legionari, occupò la Grecia e la Macedonia approfittando dell’assenza di Ottaviano7Successivamente Cicerone fece legittimare tutto ciò dal Senato: Cicerone, Filippiche, X, 11, … Continue reading. Decimo Bruto, sostenuto da Cicerone in Senato8Cicerone, Filippiche, III, 15, 37-39, comunicò di non voler cedere la Gallia Cisalpina cadendo nella trappola di Marco Antonio che cercava un qualsiasi pretesto “legale” per lo scontro armato con i cesaricidi9Cicerone, Lettere ai Familiari, XI, 1; Epistole ad Attico, XIV, 13. Marco Antonio a Brindisi iniziò a preparare con qualche difficoltà un esercito per marciare contro il cesaricida10Cassio Dione, XLV, 35, 3 e allo stesso tempo denunciò un complotto di Ottaviano11Sperando di farlo nominare nemico pubblico: Cicerone, Filippiche, III, 8, 20-21; V, 9, 23; il quale nel frattempo si era ritirato ad Arezzo dopo un tentativo breve e infruttuoso di marciare verso Roma. Nei primi giorni del 43 a.C. Cicerone riuscì a far eleggere consoli Pansa e Irzio, a riabilitare la figura di Ottaviano nominandolo propretore e affiancandolo ai due consoli nella spedizione contro Marco Antonio12Ottenendo diversi privilegi: Cicerone, Filippiche, V, 17, 46-8; Livio, Periochae; CXVIII; Res … Continue reading, denunciò quest’ultimo con le sue Filippiche, ma non riuscì a farlo proclamare nemico pubblico13Oltre alle Filippiche: Cassio Dione, XLV, 18-47. Colui che anni prima aveva denunciato Catilina e il suo progetto di sovversione dello Stato, ora legittimava le azioni illegali di Ottaviano e di Decimo Bruto14Nel racconto di Cassio Dione tutto ciò è rinfacciato da Quinto Fufio Caleno: Cassio Dione, XLVI, … Continue reading.
Questa breve guerra civile, un’anacronistica operazione di peace-enforcement, si svolse nei pressi di Modena dove si era rifugiato Decimo Bruto. Marco Antonio mise sotto assedio la città, ma questo fu rotto dopo due sanguinose battaglie nelle quali morirono i due consoli15Forum Gallorum e Modena. Cicerone, Lettere agli Amici, X, 30; Appiano, Storia Romana, XV, 67-76, … Continue reading. La guerra di Modena si concluse con il colpo di scena dell’incontro nella vicina Bononia/Bologna tra Ottaviano, Marco Antonio e il pontefice massimo Lepido, dove nacque il secondo triumvirato, legittimato successivamente dallo stesso Senato, che portò alla fine dei cesaricidi e di Cicerone.
Ritornando a Ovidio, quest’ultimo è forse l’unico autore latino dell’età augustea a non aver vissuto il lungo periodo delle guerre civili, dato che era solo quattordicenne dai tempi della battaglia di Azio del 31 a.C.. Un piccola differenza biografica rispetto agli altri autori: tra coloro che parteciparono fisicamente alle diverse battaglie (Orazio e Vitruvio) o che subirono la confisca delle proprie terre successivamente assegnate ai veterani (Tibullo, Virgilio, Properzio).
Ovidio, nato durante la festa per il compleanno della dea
Negli ultimi di questi quindici versi Ovidio rivela il giorno della sua nascita: il secondo giorno delle feste dedicate a Minerva, durante le quali si celebrava la sua nascita16Ovidio, Fasti, III, 19, 812 o la consacrazione del suo tempio sull’Aventino17Fasti Praenestini; Festo, De verborum significatu, p.254 oppure quella del suo tempio sul Celio18Ovidio, Fasti, III, 19, 835-9 (Minerva Capta). Questa festività è il Quinquatrus, festività di cinque giorni dal diciannove marzo al ventitré. Ovidio, nato il secondo giorno di festività ovvero il venti marzo, ricorda al lettore che quello è il primo giorno di festa che si tinge di sangue: infatti, se nel diciannove è vietato assolutamente versare sangue, nei seguenti tre giorni si svolgono dei combattimenti tra gladiatori19Ovidio, Fasti, III, 19, 811-814. Probabilmente in tarda età repubblicana fu introdotta l’abitudine di allestire dei giochi gladiatori in questi giorni di festa, mossa degli aristocratici per consolidare o creare consenso elettorale. L’ultimo giorno dei Quinquatria prevedeva la purificazione delle tube da guerra20Ovidio, Fasti, III, 20, 850-851 (Tubilustrium. Le trombe sono suonate dai tubicines sacrorum populi romani) attraverso il loro lavaggio nello sconosciuto Atrio dei calzolai21Varrone, Sulla Lingua Latina, VI, 3, 14 (Atrium Sutorium). Secondo la testimonianza di diversi autori durante questi cinque giorni di festa le scuole erano chiuse22Orazio, Epistole, II, 2, 196-8; Porfirione, Commento a Orazio Flacco, Epistole; II, 2, 197; … Continue reading e i maestri ricevevano il compenso dalle famiglie dei loro alunni23Il minervale. Ovidio, Fasti, III, 19, 830-831; Giovenale, Satire, X, 115-7; Macrobio, Satire, I, … Continue reading, con la particolarità che il primo compenso di un nuovo alunno doveva essere consacrato alla dea24Tertulliano, Sull’idolatria, 10, inoltre sembra che gli stessi studenti facessero una colletta e la consacrassero a una statua di Minerva posta in classe25Scholia vetera alle Satire di Giovenale, X, 116. Altra consuetudine di questi giorni era il consultare indovini e fattucchiere26Plauto, Il soldato fanfarone, 691-3. Tutto ciò perché durante le Quinquatria si festeggiavano tutte le arti e i mestieri 27Artifex dies. Fasti Praenestini; Ovidio, Fasti, III, 19, 815-834.
Lettera di Ottaviano Augusto a Tiberio:
Svetonio, Vite dei Cesari: Divo Augusto, 71 – [Traduzione di Felice Dessì per edizione BUR]
«Caro Tiberio, ho passato abbastanza bene le Quinquatrie in allegria. Infatti abbiamo giocato tutto il giorno, e abbiamo riscaldato il tavoliere (dadi). Tuo fratello (Druso Maggiore) ha fatto gran chiasso, ma alla fine non ci ha rimesso molto, perché dopo forti perdite, a poco a poco si è rifatto, oltre ogni speranza. Io, per conto mio, ho perso ventimila sesterzi, ma perché come al solito, sono stato troppo generoso nel gioco. Infatti, se avessi riscosso le poste che ho condonato a ciascuno e mi fossi tenuto quel che ho regalato ne avrei vinti almeno cinquantamila. Ma preferisco così; la mia generosità mi innalzerà alla gloria del cielo!»
Ovidio, festeggiare il proprio genetliaco
Ovidio in quei versi non solo afferma dove e quando è nato, ma ci descrive brevemente come si festeggiasse in quel tempo antico il proprio genetliaco. Erano cucinate delle focacce dolci (dolcificate con il miele, data la non conoscenza della cristallizzazione della barbabietola da zucchero) che erano consacrate al proprio genius natalis, il demone che accompagnava ogni uomo dalla sua nascita fino alla sua morte28Tibullo, Elegie, I, 7, 53-55. A differenza degli uomini le donne erano accompagnate da un altro demone chiamato iuno natalis29Pseudo-Tibullo, Corpus Tibullianum, 12. Particolarità del rito dell’offerta delle focacce era quello di indossare un abito bianco e che esso si svolgeva nei pressi dell’altare dei Lari familiari decorato con ghirlande di fiori e inondato d’inceso30Ovidio, Tristezze, III, 13, 13-18, sul quale era presente anche un’effige del genius/Iuno natalis. Il genetliaco non era festeggiato solo con sacrifici, ma anche con un banchetto festivo serale31Plauto, Pseudolo; Tibullo, I, 7, 49-50; Properzio, Elegie, III, 10, 21-28.
Ovidio, un bronzo in Abruzzo e in Romania
Questa statua raffigurante Ovidio si trova in Romania a Constanța (Costanza), ovvero la vecchia Tomis dove fu esiliato il poeta. La statua fu inaugurata nel 1885 ed è opera di Ettore Ferrari, autore anche della famoso monumento a Giordano Bruno in piazza Campo de’ Fiori a Roma. Questa statua divenne bottino di guerra dell’esercito bulgaro durante la presa della città nella prima guerra mondiale, e solo l’intervento della diplomazia imperiale tedesca, alleati della Bulgaria, evitò la probabile distruzione della statua.
Una replica della statua di Ovidio sempre dello stesso Ferrari fu posta a Sulmona nel 1925, inaugurata il trenta aprile alla presenza del re Vittorio Emanuele III.
Note
↑1 | «Carmen et error» Ovidio, Tristezze, II, 1, 207 |
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↑2 | Cicerone, Epistole ad Attico, XIV, 7; XIV, 12 |
↑3 | Sulle divisioni all’interno dei cesaricidi, il commento dello stesso Cicerone in una lettera ad Attico di due mesi dopo. Cicerone, Epistole ad Attico, XV, 11; XV, 20 |
↑4 | I pretori non dovevano assentarsi da Roma per più di dieci giorni. Antonio con un editto dell’undici aprile concesse una deroga ai due: Cicerone, Filippiche, II, 13, 31 |
↑5 | Cicerone, Filippiche, XI, 12, 27-28 |
↑6 | Cicerone, Filippiche, II, 13, 31; III, 10, 26; Livio, Periochae, CXVII, Cassio Dione, Storia Romana, XLV, 22, 3-4 |
↑7 | Successivamente Cicerone fece legittimare tutto ciò dal Senato: Cicerone, Filippiche, X, 11, 25-26; XI, 12, 27-29; Cassio Dione, XLVII, 21-22 |
↑8 | Cicerone, Filippiche, III, 15, 37-39 |
↑9 | Cicerone, Lettere ai Familiari, XI, 1; Epistole ad Attico, XIV, 13 |
↑10 | Cassio Dione, XLV, 35, 3 |
↑11 | Sperando di farlo nominare nemico pubblico: Cicerone, Filippiche, III, 8, 20-21; V, 9, 23 |
↑12 | Ottenendo diversi privilegi: Cicerone, Filippiche, V, 17, 46-8; Livio, Periochae; CXVIII; Res Gestae Divi Augusti, I, 2-4; Cassio Dione, XLVI, 29, 5 |
↑13 | Oltre alle Filippiche: Cassio Dione, XLV, 18-47 |
↑14 | Nel racconto di Cassio Dione tutto ciò è rinfacciato da Quinto Fufio Caleno: Cassio Dione, XLVI, 1-28 |
↑15 | Forum Gallorum e Modena. Cicerone, Lettere agli Amici, X, 30; Appiano, Storia Romana, XV, 67-76, 274-311; Cassio Dione, XLVI, 35-38 |
↑16 | Ovidio, Fasti, III, 19, 812 |
↑17 | Fasti Praenestini; Festo, De verborum significatu, p.254 |
↑18 | Ovidio, Fasti, III, 19, 835-9 |
↑19 | Ovidio, Fasti, III, 19, 811-814 |
↑20 | Ovidio, Fasti, III, 20, 850-851 |
↑21 | Varrone, Sulla Lingua Latina, VI, 3, 14 |
↑22 | Orazio, Epistole, II, 2, 196-8; Porfirione, Commento a Orazio Flacco, Epistole; II, 2, 197; Simmaco, Epistole, V, 85, 3 |
↑23 | Il minervale. Ovidio, Fasti, III, 19, 830-831; Giovenale, Satire, X, 115-7; Macrobio, Satire, I, 12, 7. In senso generico come compenso a chi insegna un’arte o un mestiere: Varrone, Sull’agricoltura, III, 2, 18 |
↑24 | Tertulliano, Sull’idolatria, 10 |
↑25 | Scholia vetera alle Satire di Giovenale, X, 116 |
↑26 | Plauto, Il soldato fanfarone, 691-3 |
↑27 | Artifex dies. Fasti Praenestini; Ovidio, Fasti, III, 19, 815-834 |
↑28 | Tibullo, Elegie, I, 7, 53-55 |
↑29 | Pseudo-Tibullo, Corpus Tibullianum, 12 |
↑30 | Ovidio, Tristezze, III, 13, 13-18 |
↑31 | Plauto, Pseudolo; Tibullo, I, 7, 49-50; Properzio, Elegie, III, 10, 21-28 |