Proverbi, scrofe e pioggia
Il secolo della paremiografia
Tra il quindicesimo secolo e l’inizio del sedicesimo furono pubblicate diverse antologie di proverbi e di sentenze tratti quasi esclusivamente dalle opere dell’antichità classica. Queste antologie erano ispirate a quelle perdute degli autori ellenistici del primo secolo a.C., antologie riassunte o ampliate da autori di età imperiale e successivamente dagli eruditi bizantini del nono secolo.
Erasmo da Rotterdam scrisse gli Adagia, un’immensa antologia pubblicata per la prima volta nel 1500 contenente solo 818 sentenze latine, e per l’ultima volta nel 1536 con una edizione definitiva contenente 4151 sentenze nel quale erano presenti anche sentenze tratte dalla letteratura greca e proverbi popolari. Erasmo si differenziò dai suoi contemporanei e specialmente dagli esponenti dell’ultima cultura bizantina come Michele Apostolio, perché non scrisse solo ed esclusivamente un’antologia, ma commentò i diversi eventi del suo tempo attraverso la spiegazione di questi proverbi.

Scrofe, piogge, eunuchi e briganti
«Non pioverà dopo la notte in cui il maiale selvatico avrà partorito.
Erasmo, Adagia, Centuria 15, 1443 – [Traduzione tratta da edizione Bompiani a cura di Emanuele Lelli]
Plutarco nell’opuscolo Sulle cose naturali, cita questo verso, proferito come un proverbio: “Non pioverà la notte in cui il maiale selvatico partorirà”. I maiali domestici partoriscono spesso ed in periodi diversi, quelli selvatici, invece una volta sola, esattamente in quei giorni in cui comincia l’estate. Perciò si dice che non pioverà dopo che il maiale selvatico avrà partorito, terminati appunti i mesi delle piogge. In senso ironico potrà essere utilizzato per dire che le cose saranno più tranquille dopo che qualcuno scontroso e irascibile abbia assecondato il desiderio nel suo animo.»
«Non più di notte…
Erasmo, Adagia, Centuria 34, 3370
Plutarco nelle Questioni naturali riporta questo verso diffuso proverbialmente fra gli antichi: “non piove più di notte, quando la scrofa selvatica partorisce.” Si chiede poi “per quale motivo le scrofe selvatiche partoriscono più spesso e in tempi non regolari, al contrario quelle selvatiche una sola volta e in giorni stabiliti, cioè all’inizio dell’estate.”, il periodo dell’anno che è meno soggetto alla pioggia, soprattutto presso i Greci. Non vedo altro impegno del proverbio, se non quello di voler intendere che, conclusa la primavera e l’autunno, viene il sereno. Ma se sarà lecito impiegarlo in senso traslato, si potrà impiegare quando intenderemo che accadrà una cosa o un’altra che condurranno a breve alla fine dei nostri mali.»
L’opera di Plutarco citata da Erasmo è Αἴτια φυσικά, il quale titolo era stato latinizzato nel sedicesimo secolo in Quaestiones Naturales, così da ricondurre quest’opera alle Quaestiones Romanae e alle Quaestiones Graecae. Gli studiosi hanno definito l’opera come una miscellanea con materiale tratto principalmente dai trattati naturalistici e biologici della scuola peripatetica; opera che oscilla tra una semplice raccolta di appunti finita tra gli scritti di Plutarco per volontà di eredi e di amici, oppure opera a sé stante.
«Perché le scrofe domestiche figliano più volte, e ognuna in una stagione diversa, mentre quelle selvatiche una sola volta e tutte all’incirca negli stessi giorni? E questi cadono all’inizio dell’estate, per cui si è detto che: “non piove più nella notte in cui partorisce la scrofa selvatica”. Forse per la quantità di cibo, perché realmente “nella sazietà c’è Cipride”. Infatti l’abbondanza di cibo crea un eccesso di prolificità sia per la piante sia per gli animali. Orbene, le scrofe selvatiche cercano il cibo da se stesse e con paura, mentre per le domestiche ce n’è sempre, in parte spontaneo in parte preparato. Oppure a quanto sopra è collegato il fattore dell’inerzia e dell’attività? Infatti le une se ne stanno oziose non volendo vagare lontano dai loro porcai; le altre devono trasportare, andando per i monti correndo qua e là, il cibo e lo consumano tutto per il loro corpo, sicché per la continua tensione non rimane alcun eccesso. Oppure anche il fatto che le femmine domestiche siano nutrite e tenute in branco con i maschi sveglia loro gli istinti del sesso e ne eccita il desiderio (come scrisse per Empedocle per l’essere umano: “Su di lui sopravvive il desiderio, che con la vista gli fa ricordare…”); mentre nei porci selvatici che si procurano il cibo lontano l’uno dall’altro, la riluttanza agli amori e agli accoppiamenti tarpa e spegne il loro impulsi? Oppure è vero anche quello detto da Aristotele che Omero chiama chloune (χλούνης) un porco con un solo testicolo? Dice infatti che la maggior parte dei cinghiali si rompono i testicoli per lo strofinarsi contro i tronchi degli alberi.»
Plutarco, Moralia: Quaestione Naturales, 21, 917 b-d – [Traduzione tratta da edizione Bompiani a cura di Emanuele Lelli e Giuliano Pisani.]
Plutarco non spiega il proverbio riportato secoli dopo da Erasmo, ma probabilmente questo doveva avere un origine popolare o essere tratto da qualche trattato di astrologia e di meteorologia. Plutarco, come diversi altri autori antichi, sottolinea la differenza tra gli animali selvatici e quelli addomesticati, i primi condizionati dalla natura nei loro comportamenti, i secondi più liberi nella loro condizione di cattività che prevede cibo sempre disponibile e la compagnia continua dei propri simili.
In questo particolare caso delle scrofe Plutarco rimanda ad Aristotele il quale nel sesto libro della sua Historia animalium descrive la gestazione delle scrofe selvatiche, simile a quella delle scrofe domestiche per durata e quantità della prole, ma differente perché avviene solo in primavera ed è caratterizzata dalla tendenza all’isolamento in luoghi inaccessibili e della presenza del maschio per trenta giorni1Aristotele, Historia animalium, 6, 28, 578a. Aristotele arriva a fondere un verso dell’Iliade2Omero, Ilias, 9, 539 con uno dell’Odissea3Omero, Odyssea, 9, 190-1, per poter descrivere come i cinghiali selvaggi castrati diventino più grandi e più aggressivi; addirittura spiegando che tale castrazione e in parte naturale, perché avviene quando lo stesso cinghiale schiaccia i suoi testicoli sfregiandoli contro un albero4Aristot. Hist. An. 6, 28, 578b. La parola χλούνης non è presente solo nei poemi omerici, ma anche in Esiodo5Esiodo, Scutum, 168; 177 per poi scomparire successivamente, venendo utilizzata per indicare esclusivamente il cinghiale solo da Oppiano di Anazarbo, autore di un trattato didascalico dedicato alla pesca scritto al tempo del principato degli Antonini6Oppiano, Halieutica, 1, 12.
Il Suida (Σουίδα), il lessico o proto-enciclopedia scritto attorno alla metà del decimo secolo a Costantinopoli e composto da circa 30.000 voci, tramanda un frammento di un’opera perduta di Claudio Eliano per quanto riguarda la parola χλούνης. Eliano afferma che questo fosse il soprannome di un eunuco effeminato di Atene7Claudio Eliano, Fragmenta, 10b Douglas Domingo-Forasté. Nella Suida e nei Deipnosophistae di Ateneo di Naucrati sono tramandati frammenti di autori dell’età classica come Eschilo e Alessandro l’Etolo nel quale χλούνης indica un brigante che lancia agguati nascosto da dietro a un cespuglio8Ateneo di Naucrati, Deipnosophistae, 15, 56; Suida, χ 349..
Risorse
- Testo latino con indici e note degli Adagia di Erasmo – [link].
- Suda On Line: Byzantine Lexicography – [link]
- Su Perseus Digital Library il testo greco e traduzione in inglese di Ateneo di Naucrati e di Plutarco.
Note
↑1 | Aristotele, Historia animalium, 6, 28, 578a |
↑2 | Omero, Ilias, 9, 539 |
↑3 | Omero, Odyssea, 9, 190-1 |
↑4 | Aristot. Hist. An. 6, 28, 578b |
↑5 | Esiodo, Scutum, 168; 177 |
↑6 | Oppiano, Halieutica, 1, 12 |
↑7 | Claudio Eliano, Fragmenta, 10b Douglas Domingo-Forasté |
↑8 | Ateneo di Naucrati, Deipnosophistae, 15, 56; Suida, χ 349. |